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Paradeplatz – Zurigo

  

L'arte ha svolto un ruolo importante nel restyling della sede storica di Credit Suisse Group di Paradeplatz a Zurigo. Per esempio, al centro del reticolato che decora il pavimento marmoreo del cortile a lucernario, si erge la «Fontaine du désir» (2002), un'installazione della fotografa e artista Silvie Defraoui, una fontana esagonale in vetro acidato che diventa il nucleo della nuova struttura spaziale.

Le news sui mercati finanziari trasmesse dalla televisione svizzera, belle o brutte che siano, hanno sempre un tratto comune: sono accompagnate da vedute aeree della sede storica di Credit Suisse di Paradeplatz a Zurigo. Con il suo solido zoccolo bugnato sovrastato da quattro piani con proporzioni classiche e impreziositi da decorazioni scultoree, l'edificio in pietra arenaria eretto tra il 1873 e il 1876 da Jakob Friedrich Wanner è diventato una vera e propria icona della piazza finanziaria svizzera. Secondo le intenzioni del committente Alfred Escher, l'edificio avrebbe dovuto fungere da nuova sede di rappresentanza per il Credito Svizzero da lui fondato vent'anni prima. Il compito si presentava arduo, visto che prima di Wanner nessuno in Svizzera aveva ancora stabilito quali fossero i canoni architettonici per edifici di questo tipo.

La leggendaria sede storica di Credit Suisse Group, nome assunto dalla banca nel 1997, era originariamente composta da due sole ali: un edificio principale incoronato da un colonnato e affacciato su Paradeplatz, unito a un'ala meno appariscente rivolta sulla Talacker. I volumi costruttivi furono concepiti da subito all'insegna della grandezza: anche se al suo trasferimento nella nuova sede, nel 1877, la banca occupava solo un terzo degli spazi disponibili, quelli disposti intorno all'angolo, più che sufficienti per i 50 dipendenti del Credito Svizzero di Escher, le porzioni più esterne erano affittate e adibite a negozi e abitazioni. Nei decenni successivi gli spazi occupati dalla banca vennero però ampliati e nel giro di breve si estero all'intero blocco perimetrale con l'acquisto di altri due edifici adiacenti affacciati sulla Bahnhofstrasse e la ristrutturazione di un palazzo sulla Bärengasse realizzato nel 1913/14 dai fratelli Pfister, fino a creare un quadrilatero chiuso intorno al cortile interno.

A partire dal 1899, e per i successivi 100 anni, il cortile interno avrebbe ospitato l'atrio sportelli della banca, tornando a essere uno spazio pubblico della città di Zurigo solo nel 2002, nella forma di cortile a lucernario («Lichthof») con una galleria di negozi aperto al passaggio pedonale. L'apertura al pubblico è stata il fulcro di una ristrutturazione della sede di Credit Suisse Group di Paradeplatz volta non solo ad adattare gli spazi operativi alle esigenze del business nell'era di Internet, ma soprattutto a riposizionare l'immagine della banca: «Il parterre dell'edificio principale deve riprodurre all'interno la forza di impatto che la facciata ha all'esterno su Paradeplatz. La sede di Paradeplatz deve diventare l'icona della nostra banca, un simbolo capace di oltrepassare i confini nazionali. Non basta che la si possa vedere dall'esterno, si deve poterla sperimentare anche dall'interno. Lo spazio deve essere stimolante, comunicativo, ampio e aperto»: questa era più o meno la descrizione del progetto commissionato nel 1993 a otto studi di architettura. Nel 1997, tra i concorrenti è stato selezionato lo studio bernese Atelier 5, che ha vinto non da ultimo grazie all'innovativo concetto di apertura del cortile a lucernario. Rispettando il patrimonio architettonico esistente, nel corso dei successivi dodici anni sono stati realizzati nuovi spazi funzionali aperti al pubblico al pianterreno e, nel contempo, sono state gradualmente rinnovate le superfici riservate alla banca nei quattro piani superiori.

L'arte ha svolto un ruolo importante in questo restyling della sede storica di Credit Suisse Group. Per esempio, al centro del reticolato che decora il pavimento marmoreo del cortile a lucernario, si erge la «Fontaine du désir» (2002), un'installazione della fotografa e artista Silvie Defraoui, una fontana esagonale in vetro acidato che diventa il nucleo della nuova struttura spaziale. Sul fondo del bacino scorre una scritta luminosa multicolore che elenca in cinque lingue una serie di sogni «irrealizzabili», come «avere più tempo», «comprendere il linguaggio degli uccelli», «respirare sott'acqua» o semplicemente «essere invisibili», desideri che non possono essere soddisfatti dal denaro. Le scritte luminose sono rese meno comprensibili dall'increspatura della superficie dell'acqua ad opera di impulsi meccanici, mentre le lettere incise sul pavimento tutto intorno a formare le parole «Wünsche, désirs, desires, desideri» sono tagliate a metà in senso orizzontale. Questi stratagemmi sono pensati per invitare il visitatore a compiere uno sforzo atto a decifrare le scritte e dedicare tempo ad assimilarne il messaggio. «La strada è la meta», afferma l'artista, che ha voluto rendere il cortile un luogo di contemplazione creativa, convinta che non sia la soddisfazione dei desideri a generare energia creativa, bensì il semplice atto senza tempo di desiderare.

Lo stesso potenziale di riflessione è insito anche nelle altre 400 opere d'arte circa che impreziosiscono gli atri, i corridoi e gli uffici singoli, ma anche e soprattutto le luminose sale di rappresentanza, della casa madre di Credit Suisse Group. Con la riorganizzazione dell'edificio avviata nel 1997 l'arte ha assunto un ruolo da protagonista, soprattutto nell'ambito della graduale riconversione degli uffici dirigenziali situati al piano nobile in zona dedicata alla clientela: in circa 60 sale della storica «Bel Etage» è esposto oggi un nucleo ben assortito della collezione di Credit Suisse. Le opere, presentate per lo più singolarmente (con tutte le conseguenze sul piano percettivo descritte nell'introduzione), interagiscono vigorosamente con il contesto, fondendosi con le testimonianze dell'articolata storia dell'edificio, che spaziano dagli stucchi e intarsi lignei di fine Ottocento e inizio Novecento agli interni art déco del 1931, fino alle forme razionali del dopoguerra.

Le immagini della pagine precedenti offrono una panoramica di questo radicamento dell'arte all'interno di un'architettura così storicamente connotata. L'opera di Markus Gadient «Serendipity Nr. 22» (2007), per esempio, non sfigura di fronte alle dimensioni imponenti della sala in cui è collocata, una delle dodici stanze di un appartamento altoborghese appartenente al nucleo originario costruito da Wanner nel 1876. Ispirato dai giochi di chiaroscuro creati dalla natura nel giardino della Pfaueninsel a Berlino, il dipinto è stato realizzato in due fasi: l'artista ha dapprima riprodotto il paesaggio in modo naturalistico, sulla base di una fotografia, sovrapponendovi poi pennellate spontanee ed energiche. La collocazione in un angolo, al riparo dalla luce naturale, ne intensifica l'impatto espressivo: una grande macchia, lucente come seta, divora quasi completamente il paesaggio, risparmiando solo un possente albero e il prato verde brillante. Anche nell'opera di Joseph Egan «A Flower and a Leaf» (2008) i protagonisti sono due colori, l'arancio e il verde. Questa delicata installazione murale costituita da due pezzetti di legno si pone arditamente in contrasto con il montante della porta adiacente: la pittura a olio nei colori del fiore e della foglia, ricoperta di vernice trasparente, diventa ancora più intensa grazie all'accostamento con le venature dell'impiallacciatura in noce [foto pag. 32]. Anche il dipinto di Giacomo Santiago Rogado «Serpentine» (2009) è inserito in una cornice classicheggiante e di gusto spiccatamente figurativo, come quella degli stucchi ispirati allo stile art déco americano degli anni Venti. L'opera (un intreccio rigoroso e ipnotizzante di sinuose linee colorate su barre verticali color argento) diventa il fulcro visivo del corridoio al primo piano realizzato nel 1931 dai fratelli Pfister nell'ambito dell'ultimo ampliamento della sede di Paradeplatz.

Anche le cinque «Costumes photos» (1992/2002) di Gilles Porret (una serie di autoritratti dell'artista in posa da dandy, in cui il colore dell'abito si intona con lo sfondo) hanno trovato una collocazione stilisticamente adeguata sotto il fregio degli stucchi a roselline di una eccentrica stanza ovale situata al pianterreno e illuminata da un lucernario, definita «sala riunioni» già nel progetto costruttivo del 1916. Non di meno, l'opera di Hugo Suter «Malerei (Wald)» (2007/08) si integra perfettamente con il suo nuovo contesto espositivo: la scultura (una vetrinetta all'interno della quale sono agglomerati pezzi di ricambio in legno, fili colorati, frammenti di plastica, disposti in modo da dare l'impressione che sul vetro opaco frontale appaia un boschetto) ha abbandonato il piedistallo grigio su cui era originariamente collocata, per prendere posto sopra un tavolino da salotto.

La gigantografia «Wanja» (2008) di EberliMantel, infine, è collocata in una delle sale clienti sulla Bärengasse che, negli anni Cinquanta, sono state completamente private delle decorazioni storiche. Tuttavia proprio quest'opera, con la scena che rappresenta, è emblematica di un intenso confronto con l'antico patrimonio architettonico della sede di Paradeplatz: durante un sopralluogo nell'estate del 2008 effettuato per suggerire l'inserimento di una loro fotografia, infatti, il duo artistico si è innamorato del parquet che riveste il foyer dell'attuale atrio sportelli, storicamente chiamato «nonagono», appena riportato all'originario splendore. Gli impressionanti intarsi in noce e ciliegio nazionale (i cui motivi a rosone circolare si ispirano nientemeno che al pavimento marmoreo realizzato da Michelangelo in piazza del Campidoglio a Roma) posati nel 1916 nell'allora ring di negoziazione hanno indotto il duo EberliMantel a realizzare un'opera ex novo sul pavimento del «nonagono». Con «Wanja» (2008), quarta opera della serie incentrata sul tema del puzzle, le artiste hanno realizzato un'immagine simbolica ispirata al famoso dipinto «La Torre di Babele» (1563) di Pieter Brueghel, in cui la sciagurata utopia fallisce architettonicamente, come narrato nella Bibbia, e il moderno ingegnere (nell’immagine di EberliMantel, «Wanja») esamina la sua opera con occhio critico. Il disegno fortemente ritmato del parquet, in effetti, colloca l'immagine su uno sfondo instabile e visivamente irritante. L'ambiguità delle associazioni di idee suscitate dalla scena scaturisce da una libera interpretazione dell'arte, pensata per indurre il visitatore ad attraversare in modo più attento, e forse più ispirato, il «nonagono» che introduce all'atrio sportelli della sede storica di Credit Suisse in Paradeplatz.

André Rogger

In merito al progetto

Lo stesso potenziale di riflessione è insito anche nelle altre 400 opere d'arte circa che impreziosiscono gli atri, i corridoi e gli uffici singoli, ma anche e soprattutto le luminose sale di rappresentanza, della casa madre di Credit Suisse Group. Con la riorganizzazione dell'edificio avviata nel 1997 l'arte ha assunto un ruolo da protagonista, soprattutto nell'ambito della graduale riconversione degli uffici dirigenziali situati al piano nobile in zona dedicata alla clientela: in circa 60 sale dello storico «Bel Etage» è esposto oggi un nucleo ben assortito della collezione di Credit Suisse. Le opere, presentate per lo più singolarmente, interagiscono vigorosamente con il contesto, fondendosi con le testimonianze dell'articolata storia dell'edificio, che spaziano dagli stucchi e intarsi lignei di fine Ottocento e inizio Novecento agli interni art déco del 1931, fino alle forme razionali del dopoguerra.