«La Svizzera può svolgere un ruolo da mediatore geopolitico»
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«La Svizzera può svolgere un ruolo da mediatore geopolitico»

Auspica un dialogo positivo con l'UE e confida nell'opportunità per la Svizzera di far leva sulle proprie competenze di mediazione. Il consigliere federale Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale degli affari esteri, prende una posizione competente e puntuale su tutte le principali apprensioni della Svizzera.

Manuel Rybach: Signor consigliere federale, a differenza dell'anno scorso non esiste un'apprensione principale che primeggia da sola. Quest'anno, ben tre apprensioni si collocano praticamente a pari merito: la pandemia da coronavirus e le sue conseguenze, la salvaguardia ambientale/il cambiamento climatico e l'AVS/la previdenza per la vecchiaia. Se lo aspettava?

Consigliere federale Ignazio Cassis: Non mi sorprende affatto. Queste sono tematiche che interessano direttamente i cittadini e che hanno un impatto sulla loro vita quotidiana. Inoltre, le apprensioni sono sempre più fortemente legate alla copertura mediatica e infatti queste tre sono al momento onnipresenti nei media. L'unica cosa che mi sorprende è il mancato emergere di un quarto tema: la digitalizzazione. In questo campo è in corso una vera e propria rivoluzione.

Secondo lei, quali sono le più grandi sfide della Svizzera?

Una grande sfida per la Svizzera risiede certamente nel passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Il clima e l'ambiente continueranno a essere una questione importante. Inoltre, la previdenza per la vecchiaia è un altro tema che ci accompagna già da molto tempo. In Svizzera, negli ultimi vent'anni è stato impossibile ottenere la maggioranza dei consensi per eseguire i passi di riforma necessari. Anche altri Paesi europei hanno le stesse difficoltà nel farlo. Molti Paesi hanno aumentato l'età di pensionamento, in parte con lunghe disposizioni transitorie. La Svizzera non è ancora riuscita a compiere passi avanti. La demografia, però, è un dato di fatto, non un'opinione. Fatti e cifre dimostrano che la quota di popolazione prossima all'età di pensionamento è in aumento. Si tratta della generazione dei baby boomer, ovvero la mia generazione. Siamo di fronte a un problema intergenerazionale molto complesso. E naturalmente anche le nostre relazioni con l'UE rimangono un tema centrale.

Il blocco delle riforme nel sistema previdenziale da lei menzionato lascia dei segni. Di conseguenza, l'AVS/la previdenza per la vecchiaia figurano da alcuni anni tra le tre maggiori apprensioni degli svizzeri. Come possono realizzarsi riforme efficaci e in grado di ottenere il sostegno della maggioranza in questo caso?

Il motivo per cui finora non è stato possibile trovare un consenso sociale è probabilmente riconducibile alla mia generazione, che ha lavorato tutta la vita e ha quindi anche aspettative elevate nei confronti del sistema. Tuttavia, è necessario trovare un equilibrio tra giovani e anziani. L'atteggiamento di pretesa della generazione più anziana è comprensibile, ma non tiene conto a sufficienza dell'evoluzione demografica e dei bassi tassi d'interesse nei mercati finanziari, i quali possono quindi contribuire come «terzi contribuenti» solo in misura inferiore. Forse il blocco nella politica può essere risolto solo attraverso un'iniziativa popolare. Al momento ce ne sono due in cantiere, tra cui una dei Giovani liberali radicali svizzeri che mira ad associare l'età di pensionamento all'aspettativa di vita. Quando sono i giovani stessi a ricorrere allo strumento dell'iniziativa popolare, allora l'apprensione è grande.

Esatto, è già stato affermato che ci sarebbe bisogno di una Greta Thunberg per questa questione.

Probabilmente vedremo arrivare molte Greta Thunberg (ride). Ma i giovani sono giustamente molto preoccupati per la loro previdenza per la vecchiaia. Sì, si dovrebbe essere sostenibili anche nella previdenza. E non possiamo vivere con le carte di credito dei nostri figli. Ma è proprio quello che stiamo facendo attualmente.

Nonostante la scorsa estate la legge sulle emissioni di CO2 sia stata respinta, l'apprensione per la tutela ambientale/il cambiamento climatico ha visto quest'anno il più grande aumento di ben 10 punti percentuali. Come interpreta questo risultato?

Tutti sono consapevoli che qualcosa deve essere fatto, ma c'è disaccordo sulle soluzioni concrete. Un ostacolo troppo grande, come mostrato dal sondaggio a posteriori sulla votazione della legge sulle emissioni di CO2, sono state le tasse aggiuntive. La domanda ora è se i problemi ambientali possano essere risolti con incentivi piuttosto che con obblighi. A tal riguardo c'è purtroppo disaccordo.

La disoccupazione è scesa al nono posto rispetto al terzo dell'anno scorso, un minimo storico. Come si spiega che questa apprensione sia diminuita così tanto nell'anno corrente nonostante la crisi dovuta al coronavirus?

Credo che questo sia dovuto a due ragioni: da un lato, alla solidità della nostra economia e della piazza economica svizzera. Dall'altro, alle ingenti misure di sostegno statali in seguito alla pandemia. Oltre 15 miliardi di franchi svizzeri sono confluiti attraverso il sistema a lavoro ridotto dell'assicurazione contro la disoccupazione. Questo enorme afflusso di fondi ha permesso di evitare ingenti licenziamenti. Vedremo cosa succede una volta conclusa la crisi e interrotto l'afflusso di fondi. Dobbiamo aspettarci un'altra ondata di fallimenti? Potrebbe diventare difficile in particolare per quei settori che erano già fragili prima della pandemia e che ora riescono a sopravvivere grazie a questo finanziamento statale.

Nel maggio 2021, il Consiglio federale ha deciso di non firmare l'accordo quadro istituzionale con l'UE. Non c'è stato un grande clamore da parte della popolazione. Tuttavia, i risultati del barometro delle apprensioni mostrano che molte persone in questo Paese sono preoccupate per la nostra relazione con l'UE. Cosa pensa al riguardo e come procederà ora il Consiglio federale?

Ciò non mi sorprende. Nel corso della sua storia, la Svizzera ha dovuto costantemente cercare un equilibrio nelle relazioni con i Paesi vicini. Da un lato, ci troviamo nel cuore del continente e desideriamo relazioni stabili e affidabili. Dall'altro, vogliamo distinguerci ed essere politicamente indipendenti. Questo ha sempre causato tensioni e abbiamo sempre trovato delle soluzioni. Il Consiglio federale propone ora un dialogo politico all'UE per trovare un percorso comune. Questo non deve però essere un arido affare amministrativo, bensì un dialogo politico in cui entrambe le parti definiscano le loro richieste, le loro necessità e i loro valori di riferimento. Del resto, è interesse di entrambe le parti avere buone relazioni, non solo sul piano economico, ma anche sociale.

Non possiamo vivere con le carte di credito dei nostri figli.

Il consigliere federale Ignazio Cassis

La situazione geopolitica sembra diventare più complessa e le relazioni di forza più incerte. Che ruolo può svolgere un piccolo Stato come la Svizzera in un mondo del genere?

Il ruolo dell'«honest broker», del mediatore. Più la situazione geopolitica si inasprisce, più la diplomazia svizzera diventa preziosa. Ne sono un esempio gli incontri dei presidenti Putin e Biden a Ginevra e le riunioni ad alto livello tra Cina e Stati Uniti a Zurigo all'inizio di ottobre. Quello che ho capito dopo quattro anni come capo del DFAE è che l'alta qualità del corpo diplomatico svizzero ha molto a che fare con le specificità del Paese: vantiamo una peculiare varietà linguistica e culturale. Già da bambini impariamo a sviluppare una particolare attenzione per le differenze. E questa capacità di percepire, sentire e interpretare le differenze ci insegna a costruire ponti. Ne consegue anche la capacità del nostro corpo diplomatico, ad esempio, di facilitare il dialogo tra gli americani e gli iraniani, almeno indirettamente.

Come mostrato dall'attuale barometro delle apprensioni, un numero nettamente maggiore di persone è preoccupato per la convivenza nel nostro Paese rispetto allo scorso anno. In generale, la maggior parte degli intervistati afferma che, dal loro punto di vista, la stabilità sociale è più a rischio. Condivide questa apprensione?

Posso capire. Noto che l'atmosfera è accesa e sento che la gente è nervosa, anche nel mio stesso ambiente e lo interpreto sociologicamente come stanchezza da coronavirus: le prospettive poco chiare, la pianificazione incerta, le discussioni sulla vaccinazione e così via. Questo mette a dura prova i nervi. Ora stiamo vedendo il risultato nelle strade con le numerose manifestazioni. Smettere di gridarci contro e ricominciare ad ascoltarci e ad avvicinarci l'un l'altro è di primaria importanza. Perché è proprio questa stabilità sociale, tra le altre cose, uno dei punti di forza della Svizzera.

Come l'anno scorso, il Consiglio federale gode del secondo indice di fiducia più alto di tutti gli attori politici e privati dopo la polizia. Tuttavia, il 75 per cento degli intervistati ritiene o tende a ritenere che il Consiglio federale dovrebbe svolgere meglio il suo ruolo di guida. Come lo interpreta?

Prima di tutto, ne sono lieto. Il Consiglio federale ha funzionato bene negli ultimi due anni nonostante le grandi sfide. Oltre alle questioni consuete, abbiamo dovuto affrontare la pandemia. La stanchezza è ovunque, anche nelle istituzioni. Ovviamente, anche il Consiglio federale sbaglia a volte: nella gestione delle crisi serve molta umiltà, così come «pesi e contrappesi». C'è sempre un margine di miglioramento ed è anche bene che il popolo ce lo ricordi affinché il Consiglio federale rimanga con i piedi per terra.

La resistenza di base di questo Paese è incredibilmente elevata.

Il consigliere federale Ignazio Cassis

Infine, osiamo volgere lo sguardo al futuro: alla domanda sulla propria situazione nei prossimi dodici mesi, il 12 per cento risponde che starà meglio di oggi, il 75 per cento uguale e il 10 per cento peggio. Condivide questo (moderato) ottimismo?

Trovo straordinario ciò che stiamo raggiungendo come Paese e sono lieto di vedere l'ottimismo del popolo svizzero. Si era già visto con la crisi finanziaria del 2008. La resistenza di base di questo Paese è incredibilmente elevata, nonostante le tensioni sociali e le irritazioni momentanee. Mi permetta dunque di fare tre osservazioni conclusive: in primo luogo, dobbiamo essere fieri di ciò che abbiamo raggiunto come Paese. In secondo luogo, dobbiamo renderci conto che il nostro benessere non piove dal cielo, ma ha piuttosto a che fare con la responsabilità personale di ogni singola persona in Svizzera. E in terzo luogo, cerchiamo di gestire ciò che abbiamo raggiunto in maniera attenta e sostenibile.