Giochi di potere in Asia: cambia la mappa delle alleanze economiche e politiche
L'estensione della sfera di influenza cinese pone l'Asia di fronte a un'enorme trasformazione geopolitica. La libertà di navigazione e i diritti di pesca litoranea e di estrazione mineraria sono sempre più oggetto di contenzioso. Le nazioni più piccole coinvolte in questa lotta devono cercare di proteggere i propri interessi tramite le alleanze più favorevoli in termini economici e di sicurezza.
L'ombrello di sicurezza creato dopo la Seconda guerra mondiale nella regione Asia-Pacifico con il sostegno degli Stati Uniti sta subendo una radicale trasformazione a causa dell'ascesa della Cina a superpotenza economica e militare.
La crescente influenza cinese è una conseguenza naturale dell'aumentata fiducia nel suo particolare modello politico ed economico nonché della volontà di esportarlo, incoraggiata dal venir meno del controllo dell'Occidente sulla regione. Il presidente Xi Jinping ha colto l'opportunità per colmare il vuoto creato dall'isolazionismo dell'amministrazione Trump, che ha ridimensionato l'impegno degli Stati Uniti nell'ambito del libero scambio con l'Asia (e il resto del mondo) e della pluridecennale garanzia implicita statunitense di sicurezza militare nella regione.
Le placche tettoniche geopolitiche si stanno spostando. Se la tensione nella penisola coreana si sta allentando, il clima nel Mar Cinese Meridionale rischia di arroventarsi - come dimostrano gli incontri ravvicinati tra la marina cinese e altre flotte d'alto mare e regionali, le quali rivendicano i propri diritti di libera navigazione ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).
Il culmine della crescente influenza della Cina è rappresentato dall'estensione della sua potenza finanziaria. La strategia è complessa, ma egregiamente coordinata. La decisione presa a novembre 2015 di includere il renminbi cinese tra le (ora cinque) valute che compongono il paniere dei diritti speciali di prelievo (DSP) dell'FMI ha consentito di internazionalizzare efficacemente la moneta cinese come asset di riserva, offrendo alla Cina la possibilità di richiedere il regolamento in renminbi di una quota sempre maggiore di operazioni commerciali a livello internazionale.
La nuova via della Seta ha potere di trasformazione...
La maggiore manifestazione in assoluto della forza economica cinese oltre i confini nazionali è l'iniziativa del presidente Xi Jinping "Belt and Road Initiative" (BRI), che ricrea l'antica via della Seta marittima e terrestre utilizzando infrastrutture finanziate a debito per integrare le catene di approvvigionamento che si estendono dalla Cina all'Eurasia, e collega quindi due terzi della popolazione mondiale.
Stando a uno studio del 2017 condotto dall'Asian Development Bank, per mantenere la propria dinamica di crescita, sconfiggere la povertà e reagire al cambiamento climatico, i paesi in via di sviluppo asiatici dovranno investire 26 mila miliardi di dollari in infrastrutture tra il 2016 e il 2030, con una spesa media annua di 1,7 mila miliardi di dollari.
La BRI risponde proprio a questa esigenza. Con il lancio del Silk Road Fund a dicembre 2014, il governo cinese ha stanziato un capitale iniziale di 40 miliardi di dollari, prelevandolo dalle proprie riserve valutarie, a favore di investimenti infrastrutturali nella regione euroasiatica, con il sostegno di altri veicoli di finanziamento disponibili nella sua giurisdizione. Inoltre, l'Asia Infrastructure Investment Bank (AIIB), creata dalla Cina a ottobre 2013 per fornire un contrappeso alle banche di sviluppo, come la Banca mondiale e l'Asian Development Bank, è sempre più coinvolta nel finanziamento dei progetti della BRI.
Secondo uno studio condotto dalla China-Africa Research Initiative della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, dal 2000 la Cina ha concesso prestiti a 56 paesi africani per un valore complessivo di 143 miliardi di dollari, grazie anche al supporto della Export-Import Bank of China e della China Development Bank. In termini settoriali, quasi un terzo dei prestiti è stato destinato al finanziamento di progetti nell'ambito dei trasporti, un quarto è andato a favore del settore energetico e il 15 per cento è stato stanziato per l'attività estrattiva di risorse, compresi gli idrocarburi. Appena l'1,6 per cento dei prestiti cinesi è stato invece destinato complessivamente a istruzione, sanità, ambiente, cibo e aiuti umanitari.
Solo sette paesi – Angola, Camerun, Etiopia, Kenya, Repubblica del Congo, Sudan e Zambia – hanno ricevuto ben due terzi dell'ammontare cumulativo del prestito cinese nel 2017. L'Angola ha firmato un accordo di prestito garantito da petrolio che vincola la produzione petrolifera nazionale futura a forniture verso la Cina, al fine di servire il crescente debito infrastrutturale del paese. Secondo uno studio pubblicato dall'FMI ad aprile 2018, circa il 40 per cento dei paesi a basso reddito della regione subsahariana, compresi Etiopia, Repubblica del Congo e Zambia, ha attualmente o è ritenuto fortemente a rischio di avere difficoltà a ripagare il debito.
… ma di recente è stata oggetto di critiche
L'Asia ha comunque dovuto subire qualche perdita in termini di sovranità economica a causa dei finanziamenti cinesi legati alla BRI. Nello Sri Lanka, l'incapacità di servire il debito infrastrutturale di 8 miliardi di dollari con la Cina ha indotto il paese, a dicembre 2017, a concedere una partecipazione azionaria di controllo e un leasing operativo valido 99 anni per il secondo maggiore porto del paese alla controllata di un'impresa statale cinese.
Non sorprende quindi che le iniziative di politica estera cinese abbiano iniziato a subire qualche contraccolpo. Il neoeletto primo ministro malese Mahathir Mohamad a maggio 2018 ha annunciato il rinvio o la cancellazione di progetti per un valore di 22 miliardi di dollari, compreso l'East Coast Rail Link, 700 km di linea ferroviaria ad alta velocità, al fine di contrastare quello che ha definito "un nuovo tipo di colonialismo".
Anche il nuovo premier pakistano Imran Khan ha parlato di una revisione dei progetti lanciati nell'ambito della BRI.
I crescenti poteri forti cinesi stanno modificando la mappa asiatica delle alleanze militari
L'attuale spesa militare cinese in dollari, rettificata in base all'equivalenza del potere d'acquisto, è pari a quasi due quarti di quella degli Stati Uniti, a quasi il doppio di quella indiana e a più del doppio della spesa di tutti gli altri paesi asiatici messi insieme (esclusa India). Ciò si riflette nel rafforzamento strategico della marina all'interno dell'Armata Popolare di Liberazione. Inoltre, la militarizzazione del Mar Cinese Meridionale da parte della Cina per imporre la propria sovranità in diretta violazione della UNCLOS (che la Cina stessa ha ratificato nel 1996), dà prova della crescente risolutezza di Pechino a estendere i suoi nuovi poteri forti nella regione.
In questa lotta per la supremazia nella regione, i paesi minori dell'area Asia-Pacifico, nel tentativo di proteggere i propri interessi, stanno modificando le loro alleanze tradizionali.
Le Filippine hanno seppellito l'ascia di guerra nel contenzioso con la Cina riguardante le isole Spartly, ottenendo significativi investimenti interni e mettendo così a repentaglio la vecchia alleanza con gli Stati Uniti. Paradossalmente, il Vietnam si sta orientando verso un sostegno statunitense per tutelare i propri interessi in termini di pesca litoranea ed estrazione mineraria nel Mar Cinese Meridionale.
Altri paesi cercano di rimanere non allineati nonostante le loro rivendicazioni naturali in materia di diritto del mare. Il primo ministro malese Mahathir Mohamad ha dichiarato l'intenzione di perseguire una politica estera neutrale che non favorisca alcun paese, allo scopo di mantenere l'accesso a un numero più elevato possibile di mercati.
Questa è la versione ridotta di un articolo pubblicato nel rapporto "Asia in Transition" del Credit Suisse Research Institute, che analizza la natura dei cambiamenti in corso nei paesi emergenti asiatici.