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Il COVID-19 penalizza il mercato immobiliare commerciale

Credit Suisse pubblica il «Monitor immobiliare Svizzera - 2° trimestre 2020»

L'entusiasmo per le misure di allentamento non deve far dimenticare che per ripristinare il vecchio dinamismo economico sarà necessario molto più tempo di quanto previsto inizialmente. Per gli immobili questo significa che l'attenzione dovrebbe essere rivolta non tanto agli immediati mancati introiti da locazione, quanto piuttosto alle conseguenze della pandemia a medio e lungo termine. La riduzione dei posti di lavoro così come i molteplici casi di fallimento a medio termine peseranno sulla domanda di immobili commerciali. Inoltre, il COVID-19 accelera il cambiamento strutturale non solo nel mercato delle superfici di vendita ma anche in quello degli spazi per uffici. L'home office è stato sdoganato. Secondo gli economisti di Credit Suisse, a lungo termine ciò potrà avere un impatto negativo sulla domanda di superfici a uso ufficio.

Nonostante il contenimento sorprendentemente rapido della pandemia da coronavirus in Svizzera e il progressivo allentamento delle misure protettive, l'entità dei danni economici del lockdown sarà percepibile solo gradualmente. Un’economia non può essere semplicemente spenta e riaccesa come una lampadina, come dimostrano i dati sulla mobilità, che stanno tornando solo lentamente ai vecchi valori. Il processo di ripresa è dunque destinato a durare a lungo, prima che l'economia raggiunga i livelli pre-crisi. Dopo il crollo dei corsi di metà marzo, per gli investimenti immobiliari si è delineato un quadro differenziato, e l'attenzione si è spostata sulle conseguenze di lungo termine della pandemia.

Uffici abbandonati
Per le superfici a uso ufficio i mancati proventi locativi sono per ora limitati. Si potrebbe dedurre che la pandemia ha colpito questo mercato in misura solo marginale - se non fosse per l'inquietante immagine di interi uffici deserti - open space senza un singolo lavoratore. Ciononostante banche, assicurazioni e studi legali continuano a funzionare senza problemi, operati a distanza da persone che lavorano in regime di home office. I responsabili di molte grandi società globali hanno fiutato il potenziale di risparmio e stanno già pensando a una riduzione delle superfici.

Il COVID-19 non è un vero e proprio «game changer», ma ha sicuramente il potere di accelerare trend già esistenti: sebbene l'home office fosse tecnicamente possibile già prima della pandemia, solo poche persone lavoravano regolarmente da casa. È stato il lockdown a sdoganare il telelavoro e a dimostrare che lavorare da casa funziona. Da numerosi sondaggi emerge che la grande maggioranza di lavoratori, anche dopo settimane di home office, non vorrebbe più rinunciare a questa modalità di lavoro. Per il futuro non è quindi in dubbio lo spostamento dei posti di lavoro alla modalità home office, bensì solo in che misura ciò avverrà – soprattutto in considerazione del potenziale di risparmio per molte aziende di servizi per le quali le spese per i locali rappresentano un decisivo fattore di costo cui è perlopiù destinata una quota media inferiore al 10% degli utili.

L’atteso taglio dell'occupazione è il problema maggiore nell'immediato
Solo dopo aver superato la pandemia sarà possibile determinare in che misura il lavoro verrà svolto in futuro da casa. Le imprese intervistate regolarmente da Credit Suisse prevedono una quota media del 14%. Solo una parte di tale quota – secondo i sondaggi il 7% - si traduce in un risparmio di spazi per uffici. In un orizzonte temporale di 10 anni anche gli economisti di Credit Suisse prevedono nello scenario più probabile risparmi di superfici pari in media al 15%, ma sostengono al tempo stesso che a causa di altri trend strutturali, come la terziarizzazione e la digitalizzazione, la domanda di superfici a uso ufficio in definitiva registrerà un calo inferiore.

Ciononostante, spostamenti della domanda di questa entità peseranno anche sui canoni di locazione degli uffici. Il problema più grave per i locatori di superfici a uso ufficio dovrebbe essere innanzitutto costituito dall'atteso taglio dell'occupazione. Il calo dell'occupazione dell'1,5% atteso dagli economisti di Credit Suisse a fine anno comporterà una riduzione della domanda di 770 000 m2 - una quota che equivale ai tre quarti della domanda supplementare cumulativa osservata sul mercato negli ultimi due anni.

Il commercio al dettaglio si trova in gravi difficoltà
Il COVID-19 accelera il cambiamento strutturale anche nel commercio al dettaglio. L’inerzia dei consumatori è stata finora il miglior alleato del commercio stazionario, ma la pandemia ha costretto molti consumatori a ripiegare sull'e-commerce. Non pochi tra loro hanno probabilmente imparato ad apprezzarne i vantaggi e continueranno a effettuare parte dei propri acquisti online. Gli economisti di Credit Suisse ritengono che il coronavirus abbia accorciato il cambiamento strutturale di tre anni. Ciò dovrebbe accelerare anche la razionalizzazione sul mercato delle superfici di vendita, e conseguentemente il processo di selezione, in quanto la crisi ha colpito un settore già in difficoltà. In questo scenario ci saranno anche dei vincitori: la pandemia ha infatti evidenziato che tutti i commercianti al dettaglio si trovano a navigare nelle stesse cattive acque, ma non sulla stessa barca.

Immobili commerciali ignorati
Lo scenario più cupo non è passato inosservato tra gli investitori, i quali hanno un atteggiamento più scettico nei confronti degli investimenti immobiliari orientati alle superfici commerciali. Dopo il forte calo dei corsi di metà marzo, al quale nemmeno gli investimenti immobiliari svizzeri si sono potuti sottrarre, sia per le società per azioni immobiliari (YTD -7.5%) sia per i fondi focalizzati sugli immobili commerciali (YTD -9.3%) la ripresa è stata meno positiva. Gli immobili residenziali vengono invece valutati in modo molto più favorevole dagli investitori (YTD -0.8%). In considerazione dei sovrapprezzi pagati in borsa per i fondi in immobili residenziali sul valore intrinseco degli immobili, il livello pre-crisi è già quasi raggiunto: gli aggi, scesi brevemente sotto il 15%, si attestano ora nuovamente al 28%. All'inizio dell'anno questo valore era pari al 32%.

Immobili residenziali in affitto: valori stabili nonostante l'atteso calo della domanda
Se la pandemia da coronavirus probabilmente penalizzerà duramente anche la domanda di appartamenti in affitto, rispetto agli immobili commerciali si dovrebbe registrare in questo settore una minore riduzione delle locazioni a lungo termine legata a cambiamenti strutturali. Inoltre, le ampie e tempestive misure di aiuto della Confederazione aiuteranno ad attenuare gli effetti di perdite di reddito e disoccupazione. In questo modo sarà possibile evitare mancati pagamenti di affitti per gli immobili residenziali. Inoltre, gli effetti disinflazionistici della crisi manterranno i tassi d'interesse bassi per molto tempo, favorendo così le valutazioni degli immobili.

Proprietà abitativa: il mercato è stato paralizzato solo brevemente
I bassi tassi d'interesse costituiscono una solida base anche sul mercato della proprietà abitativa: assicurano infatti ai proprietari di abitazioni costi estremamente ridotti, continuando a rendere molto interessante la proprietà abitativa. In un primo momento il numero di immobili di proprietà pubblicizzati nelle inserzioni è crollato notevolmente. Da metà aprile si delinea un graduale ritorno alla normalità. Il numero di nuove inserzioni è tuttavia nettamente inferiore al livello pre-crisi. Anche in questo settore la strada verso la piena ripresa è ancora lunga.


Figura: Sondaggio tra le imprese sugli effetti dell'home office

Sondaggio tra i responsabili degli acquisti sulla quota attesa di ore lavorative in regime di home office dopo la rimozione delle restrizioni COVID-19 nonché sul risparmio previsto in termini di spazi per uffici.  

La versione integrale dello studio «Monitor immobiliare Svizzera - 2° trimestre 2020» è disponibile su Internet in italiano, tedesco, francese e inglese all'indirizzo: credit-suisse.com/monitorimmobiliare